C’è un altro modo di vedere le cose. Soprattutto quando sembra che queste non abbiano quell’iter che era nelle nostre aspettative.
L’altro modo di vedere le cose non è certamente il vedere positivo a tutti costi; ha a che fare con dare senso a quello che accade, a quello che ci è dato di sperimentare.
Si tratta di una scelta di fondo, di avere deciso da che parte stare. Prendere una decisione non significa che si sia presa quella giusta, ma sicuramente che ci si assume la responsabilità della scelta presa.
E ogni giorno siamo stimolati a prendere una decisione, non solo di quelle importanti che cambiano la nostra vita, ma ogni tipo di decisione.
Ora, se la risposta che diamo ai tanti stimoli che la vita ci propone, parte da uno spazio ristretto, uno spazio nel quale non si attiva nessuna riflessione, è possibile che la risposta non sia delle migliori.
Né quella che diamo a noi stessi, né tanto meno quella che diamo agli altri. Con conseguenze quasi sempre faticose. Cattivo rapporto con noi stessi per avere contribuito a generare emozioni come la rabbia, la frustrazione, lo scontento. Conflittuale rapporto con gli altri. E sappiamo bene che il conflitto diventa subito un costo relazionale che non appare in nessun bilancio, ma che mina la buona salute oltre che delle persone, dei progetti, delle interazioni o dell’organizzazione, quando questo avviene all’interno della stessa.
C’è una condizione che può favorire la probabilità che fra i tanti stimoli e le nostre possibili risposte, si possa scegliere quella migliore, quella più funzionale per noi e per il contesto nel quale stiamo agendo.
È una condizione delicata, una libertà speciale che è declinata molto bene da una frase di Victor Frankl. “La libertà fondamentale dell’uomo è quella di scegliere come si comporterà in ogni situazione”.
Può succedere che questa frase susciti una qualche perplessità. Perché questa libertà viene associata ad azioni esterne, alla possibilità di intervenire e poter cambiare il fuori.
Ma Frankl parla di una libertà fondamentale e con queste caratteristiche si può riferire solo ad una libertà interiore. Quella libertà che ci permette di scegliere quali atteggiamenti avremo di fronte a quanto la vita ci propone. E se non mi considero responsabile di quanto avviene, lo divento nella scelta del modo in cui affronterò quanto sta avvenendo.
Ma come si alimenta questa libertà di scelta?
S.J. Covey ci propone di considerare quattro dimensioni.
La prima è l’autoconsapevolezza che viene definita come “la condizione per scoprire copioni inefficaci, regole profondamente radicate che non sono coerenti con noi che contrastano con le cose che per noi hanno davvero valore nella vita, paradigmi errati o incompleti all’interno di noi.”
La seconda, l’immaginazione, per visualizzare il potenziale che è dentro di noi.
La terza, la coscienza, per entrare in contatto con leggi e principi universali, con i nostri specifici talenti e le nostre modalità creative, e con le linee guida personali grazie alle quali possiamo sviluppare nel modo più efficace talento e modalità.
La quarta, la volontà indipendente, cioè la capacità di prendere decisioni, di operare scelte e di agire in accordo con esse. È anche la capacità di agire senza essere agiti, di attuare in modo proattivo il programma che abbiamo sviluppato grazie alle tre facoltà di cui sopra.
Ecco che, allenando costantemente queste quattro dimensioni, la nostra libertà di scelta si fortifica e ci permette di rispondere agli eventi in modo proattivo, condizione che consente di scegliere appunto un modo diverso di vedere le cose, cercando un significato a quanto sta accadendo. Unica modalità per nutrire il senso della possibilità.

di Anna Maria Palma – Professional Counselor, Senior Trainer, Coach di Intelligenza emotiva